Dal suono alla parola

La voce è la nostra carta d’identità. Ci distingue tra le persone, ci permette di richiamare l’attenzione di qualcuno in mezzo alla folla, nonostante la confusione circostante. Alcuni di noi sono immediatamente riconoscibili appena pronunciano un suono o una piccola parola, in quanto il timbro della loro voce è inconfondibile. 

Essa è una dimensione da esplorare e scoprire tale e quale al corpo. In un percorso di Educazione alla Teatralità l’esplorazione della propria voce parte dal suono: qualcosa di assolutamente ancestrale e primitivo che prende vita dal corpo stesso, che nasce dentro di esso. Gli stessi bambini prima di parlare sperimentano i suoni, sillabando, urlando, canticchiando. Tale gioco va in modo semplice e giocoso ripreso anche durante un laboratorio teatrale, per permettere ad ogni allievo di conoscersi anche nell’ambito del linguaggio pre-verbale. La voce non è solo uno strumento di comunicazione razionale né semplicemente l’insieme delle corde vocali in funzione, ma è soprattutto un linguaggio legato alla condizione emozionale ed è un’azione. Un’azione, pura e semplice, come camminare, salutare, prendere, correre.

Attraverso la voce ci esprimiamo ed entriamo in contatto con il mondo esterno.

Sapere quindi qual è il suono che nasce dentro di noi è essenziale. Saperlo modulare è una conquista di consapevolezza enorme. Quando azione vocale e base emozionale si incontrano, la voce diventa energia che si muove e richiede un controllo, non solo delle proprie emozioni ma anche della propria fisicità. Possiamo dire che usare la nostra voce significa gestire la complessità. Se non gestita essa lascia emergere le nostre insicurezze, le paure legate al messaggio che stiamo comunicando o al testo che ci accingiamo a leggere; evidenzia il legame tra suono ed emozione. Lavorare sulla propria espressività vocale, andando a recuperare quella naturale e libera che ci metta in comunicazione con noi stessi, è un percorso individuale che trova una dimensione giocosa e liberatoria anche in gruppo. Un Educatore alla Teatralità è un l’anello che unisce il lavoro del singolo sulla propria voce e l’incontro di questo con il gruppo del laboratorio, affinché l’espressione attraverso il linguaggio verbale sia un momento costruttivo e non motivo di ansia e frustrazione.

Parlare di suoni e voci in teatro non necessariamente significa parlare di dizione e impostazione vocale; vuol dire anche parlare di creatività, fantasia ed immaginazione – essenziali per l’essere umano – che vanno mantenute vive attraverso giochi di improvvisazione e di creazione da fare non soltanto a teatro ma anche e soprattutto nelle scuole di ogni ordine e grado. Poiché usare la voce vuol dire agire sull’intenzione che ci porta ad emettere quel determinato suono, sull’energia che impieghiamo nel produrlo e sulla direzione che prendiamo nel nostro comunicare. Tutti passi che portano verso la consapevolezza del sé. Così facendo, utilizzando cioè l’arte del teatro nei diversi contesti educativi, si va a trasformare il quotidiano in extra-quotidiano, conferendo all’emissione di suoni un significato culturale e sociale prima di tutto.

Sembra tutto complesso a raccontarlo, certamente, ma pensando agli incontri tra le tribù africane che parlano con suoni differenti, identificandosi in dialetti che variano da zona a zona, possiamo capire come la voce (prima ancora della lingua) sia la chiave che apre all’incontro e allo scambio culturale, facilitando la costruzione di ponti tra le diverse culture. Giocare con i suoni che il corpo può emettere è come danzare le proprie origini, donandole alle persone che incontriamo, creando spazi in cui un essere umano si avvicina ad un altro essere umano nella propria intimità, nella consapevolezza delle proprie risorse creative, nel percorso che va appunto dal suono alla parola.
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