Facciamoci subito una domanda e rispondiamo sinceramente: nella nostra vita quante volte abbiamo sentito il desiderio di scrivere? E quante volte lo abbiamo soddisfatto anche per poco, magari attraverso un diario, dei racconti, delle poesie? Certamente più di una volta, perché la scrittura rappresenta, in momenti diversi della nostra vita, un canale attraverso il quale metterci in contatto con noi stessi e con il mondo che ci circonda. E come abbiamo detto più volte, è questo scambio continuo tra il nostro “dentro” e il nostro “fuori” che ci guida verso la consapevolezza del sé, a qualsiasi età.
Un percorso di Educazione alla Teatralità può trovare nella scrittura una chiave per stimolare la creatività dei partecipanti e per affrontare in modo divertente e giocoso la conoscenza della drammaturgia teatrale, il suo sviluppo e la sua realizzazione. Attraverso il gioco della scrittura creativa, l’Educatore alla Teatralità può guidare i suoi allievi ad una conoscenza differente di loro stessi, nonché ad una costruzione di un testo performativo che possa andare in scena.
Il primo aspetto si ricollega a quel desiderio che ci appartiene da sempre: raccontarci. Non necessariamente per condividere con gli altri, ma anche solo per mettere in ordine i nostri pensieri, fissare un evento importante per trovarlo là, tutte le volte che ne sentiamo il bisogno. Scrivendo ognuno di noi ricorda, riordina, dà valore alle proprie esperienze, proietta il presente verso il futuro, restituendo un significato a ciò che ci è accaduto. Quello che Bruner definirebbe “negoziazione di significati”.
Il secondo aspetto, invece, porta alla nascita di quel teatro che vive dentro ciascuno di noi e che trova nella parola uno strumento per far arrivare agli altri il nostro messaggio. Ossia, ciò che rende l’atto performativo “teatro”, un atto da guardare per guardarsi.
Entrambi questi due aspetti hanno bisogno di tempo; un tempo del quale prenderci cura e nel quale vivere, anche solo per poco, in modo che la fantasia e l’immaginazione permettano al nostro vissuto di trasformarsi in arte: guardando, rivisitando, filtrando e modificando.
Tutta questa attività non ha nulla a che vedere in sè con la capacità di scrivere, né con la tecnica, ma con la libertà di esprimersi e di esprimere ciò che sentiamo e ciò che pensiamo.
Come raggiungere allora tale libertà se molto spesso ci sentiamo incapaci di scrivere?
Nella mia esperienza come formatore ed educatore teatrale ho compreso che la risposta a questa domanda si trova nel gioco, ovvero nella creazione di una dimensione dove con le parole può accadere di tutto: sovvertire le regole della grammatica, introdurre vocaboli nuovi partendo dagli errori che diventano spunti creativi e non parametri di giudizio. Staccarsi dalla forma per sentirsi catapultati dentro frasi e racconti che vivono senza avere necessariamente un senso. Recuperare un rapporto con la propria lingua e la parola, libero da schemi in modo da percorrere sentieri che troppo spesso ci sono stati vietati.
Giocando a scrivere prendiamo coscienza che la nostra identità è “sempre un’identità narrativa” sostiene Gaetano Oliva. Oppure, prendendo le parole di Daniel Taylor “voi siete le vostre storie. Siete il prodotto di tutte le storie che avete ascoltato e vissuto, e delle tante che non avete sentito mai”.
L’esperienza teatrale dunque è una stretta relazione con il nostro desiderio di raccontarci e può essere esaudito mediante piccoli laboratori di scrittura creativa nei quali esplorare le due fasi principali del pensiero creativo, il divergente e il convergente.
La prima per acquisire o riappropriarsi della libertà di creare, la seconda per scegliere tra ciò che abbiamo creato quello che ci serve per dare vita al nostro racconto.
Diventano fondamentali quindi in questi percorsi i giochi con le parole, ripescando la grande eredità che poeti e scrittori come Saba, Rodari, Calvino ci hanno lasciato: lasciarsi guidare dalla bellezza della nostra lingua, perché ogni parola “è come un sasso nello stagno”.