Condividere riflessioni sull’improvvisazione non è mai semplice, perché la cultura “mainstream” ritiene tradizionalmente che essa sia un dono, un talento che ad alcuni viene elargito dall’alto mentre altri ne restano privi. Ecco che spesso l’improvvisazione si confonde e si mescola al concetto di “mattatore”, di “istrione”, “animale da palcoscenico”. A pochi invece viene in mente di pensare all’improvvisazione come metodologia di creazione artistica, come approccio alla propria creatività.
Usando le parole di Gaetano Oliva, “l’improvvisazione è la volontà di estendere il linguaggio espressivo al di là dei limiti fisici e formali; è la possibilità di esplorare modi d’esecuzione ed estetiche non tradizionali, in forza del rifiuto di qualsiasi frontiera fra il bello e il brutto; è l’eventualità di provocare o di impressionare con rappresentazioni artistiche imperfette”.
Partendo da questo assunto tutto ci appare rovesciato poiché tale visione ci stacca dalle regole e ci mette in contatto con la vita, intesa come processo continuo di creazione. Se creatività significa stimolare il processo e non la produzione di qualcosa, allora l’improvvisazione è un contatto diretto e continuo con il rinnovamento delle proprie scelte artistiche, con la libertà di osare, cancellare per poi riprendere daccapo con la ricchezza delle scelte che strada facendo sono state abbandonate e trasformate.
Per un Educatore alla Teatralità sperimentare e studiare l’improvvisazione è fondamentale perché nei contesti educativi essa obbliga l’allievo a scoprire i propri mezzi espressivi e richiede un lavoro propedeutico che faccia in lui tabula rasa, riconducendolo ad una primordiale condizione di disponibilità. Attraverso essa è possibile sempre di più creare “performance teatrali” che siano eventi non prevedibili e permettano un’esperienza unica ed irripetibile.
Questa condizione di disponibilità può essere definita come uno stato di abbandono, di calma che aiuta l’acquisizione della presenza, ovvero della capacità di vivere il “qui ed ora”, mettendo in comunicazione il mondo esteriore con quello interiore. Essa permette di affrontare quelle questioni che in un laboratorio emergono durante l’immersione nel “gioco teatrale”: incontrare qualcosa di inaspettato, contattare una condizione emotiva nascosta; trovare una soluzione logica per proseguire nella creazione. Tutto questo stimola l’acquisizione della consapevolezza attraverso il rafforzamento dell’autostima: “Mi trovo di fronte ad un problema e rispondo con le mie risorse! Quindi, sono capace!” Le parole chiave sono spontaneità, istintività, logica e coerenza.
È bene che in ogni Educatore nasca il bisogno di apprendere tale metodologia, sperimentandola prima su di sé, aprendosi al dialogo tra “azione” e “reazione”, studiando ciò che il teatro del 1900 ha sperimentato in tema di improvvisazione (come l’happening o la performance).
Questo studio si affronta prima singolarmente con dei giochi individuali e successivamente aprendosi sempre di più alla relazione e al confronto con gli altri; in coppia o in gruppo. Tale sperimentazione continua permette anche di ripensare il rapporto tra performance e pubblico, il coinvolgimento di quest’ultimo come “attore consapevole o inconsapevole”, vedendolo come colui che partecipa al messaggio proposto dalla performance.
In questa direzione l’improvvisazione diventa l’osservazione della realtà da molteplici punti vista, in grado di reinventare non solo la relazione con se stessi ma anche quella con gli altri, con lo spazio, il testo, il suono e la luce.